Guido Galli è giudice istruttore penale presso il Tribunale di Milano e docente di criminologia, prima all’Università di Modena, successivamente a quella di Milano.
E’ lui che conclude la prima maxi inchiesta sul terrorismo partita nel settembre 1978 dall’arresto di Corrado Alunni e dal ritrovamento del covo di Via Negroli a Milano.
Riveste, inoltre, il ruolo di segretario della sezione milanese della ANM.
Viene assassinato il 19 marzo 1980, festa del papà e onomastico di Giuseppe, uno dei cinque “bambini Galli”. Tre colpi di pistola alla schiena, esplosi da un commando di Prima Linea, di fronte all’aula 305 della Università Statale di Milano, dove Galli avrebbe dovuto tenere la sua lezione.
Il magistrato cade a terra, il codice aperto a meno di mezzo metro, vicino alla mano. Sulla sua agendina telefonica c’è scritto: “Se mi succede qualcosa telefonate ad Armando Spataro tel. n…”.
La figlia Alessandra frequenta la facoltà di giurisprudenza, quel giorno è in Università. Accorre sul luogo dell’attentato, trova il papà riverso a terra.
Il comunicato di Prima Linea che rivendica la sua uccisione inizia così: “Oggi 19 marzo 1980, alle ore 16 e 50 un gruppo di fuoco della organizzazione comunista Prima Linea ha giustiziato con tre colpi calibro 38 SPL il giudice Guido Galli dell’ufficio istruzione del tribunale di Milano…
Galli appartiene alla frazione riformista e garantista della magistratura, impegnato in prima persona nella battaglia per ricostruire l’ufficio istruzione di Milano come un centro di lavoro giudiziario efficiente, adeguato alle necessità di ristrutturazione, di nuova divisione del lavoro dell’apparato giudiziario, alla necessità di far fronte alle contraddizioni crescenti del lavoro dei magistrati di fronte all’allargamento dei terreni d’intervento, di fronte alla contemporanea crescente paralisi del lavoro di produzione legislativa delle camere…”.
Armando Spataro, il 10 marzo 2010, in occasione del trentesimo anniversario della morte di Guido Galli, scrive
Guido Galli ha tentato di sfuggire ai suoi assassini: è stato crivellato di colpi il 19 marzo 1980, sulla soglia dell’aula nella quale doveva tenere lezione alla Statale di Milano.
Guido è sempre lì nella sua stanzetta al secondo piano del palazzo di Giustizia, con la scrivania che scompare tra le carte, con una segretaria assolutamente incapace ma devota: e lui non si lamenta mai. Tradisce appena un po’ di stanchezza solo quando, più frequentemente del solito, sposta il ciuffo dalla fronte.
E intanto mi parla delle sue amate montagne, del quinto figlio adottato, della sua fede.
Guido sorride e basta quando gli parlo del Consigliere Istruttore dell’epoca o del procuratore capo.
Non sorride, un giorno, quando gli comunico che le BR hanno ucciso il collega Girolamo Tartaglione.
Era un suo amico e Guido ne rimane molto colpito. Oggi dico che forse fu per lui un presentimento;
né sorride quando mi racconta che in un’assemblea dell’Ufficio Istruzione alcuni colleghi hanno sostenuto l’inaccettabilità della specializzazione nella materia del terrorismo dei Giudici Istruttori: amareggiato, chiede il trasferimento in Procura.
Il Procuratore lo chiama e gli dice di essere entusiasta del suo imminente arrivo, ma di essere pure mortificato: non potrà esentarlo dai servizi come la sua anzianità e la sua fama potrebbero indurlo a pretendere perché c’è troppo lavoro in Procura. Galli gli risponde che è venuto in Procura per essere un sostituto come gli altri, purchè possa lavorare con il gruppo che si occupa di terrorismo.
Il 19 marzo 1980, lui mi dice che deve andare a casa perché è San Giuseppe e deve festeggiare suo figlio, Giuseppe, appunto.
Lo aspetto in ufficio, è ormai pomeriggio. Mi telefona il capo della Digos: “ Armando, è successo… in Università, la Statale”.
Non lo lascio finire, corro alla Statale, a poca distanza dal Tribunale.
È steso per terra, con il codice aperto, a meno di mezzo metro da lui.
A suo padre, Guido Galli, aveva scritto nel 1957 una lettera per spiegare perchè aveva deciso di fare il magistrato e non l’imprenditore:”perché vedi, papà, io non ho mai pensato ai grandi clienti o alle belle sentenze o ai libri: io ho pensato, soprattutto, e ti prego di credere che dico la verità come forse non l’ho mai detta in vita mia, a un mestiere che potesse darmi la grande soddisfazione di fare qualcosa per gli altri”.